Condannato a ritiro ricette per Messina Denaro.
Condannato a 6 anni e 8 mesi di carcere il dipendente comunale di Campobello di Mazara accusato di mafia
Il gup Rosario Di Gioia ha emesso la sentenza di condanna per Andrea Bonafede, dipendente comunale di Campobello di Mazara, accusato di mafia. Bonafede, cugino del geometra che ha prestato l’identità al boss Matteo Messina Denaro durante la sua latitanza, è stato condannato a 6 anni e 8 mesi di carcere. Questa è la prima condanna per un fiancheggiatore del capomafia, che avrebbe svolto il ruolo di “postino” per garantire a Messina Denaro le cure mediche necessarie dopo la diagnosi del tumore, che lo ha ucciso lo scorso 25 settembre.
La difesa di Bonafede
Nel corso del processo, l’avvocato di Bonafede, Tommaso De Lisi, ha sostenuto che il suo assistito non è un mafioso e non ha mai conosciuto Messina Denaro. Tuttavia, il giudice ha accolto solo parzialmente le richieste della procura, che aveva invocato una condanna a 13 anni di carcere per il reato di favoreggiamento aggravato.
Bonafede è stato arrestato il 7 febbraio scorso, poco dopo la cattura di Messina Denaro, avvenuta il 16 gennaio dopo una latitanza di trent’anni. Secondo la Procura, l’imputato avrebbe svolto un ruolo fondamentale nel procurare al capomafia le cure e i farmaci necessari per la sua malattia, utilizzando l’identità del vero Andrea Bonafede per accedere alle cure del Servizio sanitario nazionale.
Le accuse della Procura
Secondo la Procura, Bonafede avrebbe fatto la spola tra lo studio del medico di Messina Denaro per farsi prescrivere farmaci e visite, oltre a ritirare ricette. Le indagini hanno individuato quasi 140 ricette mediche a suo nome. Tuttavia, l’imputato ha sostenuto di aver agito per “cortesia” nei confronti del cugino omonimo, che voleva nascondere la sua malattia alla famiglia. La verità, però, è emersa durante il processo: il vero Andrea Bonafede non è affetto da alcun tumore, ma i suoi dati sono stati utilizzati da Messina Denaro per ottenere le cure necessarie.
Conclusioni
La condanna di Andrea Bonafede rappresenta un importante passo nella lotta contro la mafia e il suo sistema di sostegno e protezione. La sentenza del gup Rosario Di Gioia sottolinea l’importanza di perseguire non solo i capi ma anche coloro che favoriscono e sostengono le attività criminali, anche se in modo indiretto. La condanna di Bonafede è un segnale forte e chiaro alle organizzazioni criminali: non c’è impunità per chi presta supporto alla mafia.
– Prestato l’identità
– Lo ha ucciso
– Avevano invocato una condanna
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