Nuovo ricorso verrà discusso il 13 dicembre
Condizioni psicologiche dell’ex giudice incompatibili con il carcere
Le condizioni psicologiche dell’ex giudice Silvana Saguto, arrestata dopo che la sua condanna a 7 anni e 10 mesi per corruzione, falso e abuso d’ufficio è diventata definitiva, sono incompatibili con il carcere. Lo attestano i consulenti della difesa dell’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo accusata di aver affidato, in cambio di favori e regali, l”amministrazione giudiziaria dei beni sottratti alla mafia solo a professionisti a lei fedeli.
Nuovo ricorso per la scarcerazione
Saguto è stata arrestata a fine ottobre mentre era ricoverata in una clinica palermitana. Il suo avvocato, Ninni Reina, ha già chiesto la scarcerazione per motivi di salute dell’ex magistrata, radiata nel corso delle indagini. L’istanza è stata respinta dal magistrato di sorveglianza.
Da qui un nuovo ricorso che verrà discusso dal tribunale di sorveglianza il 13 dicembre. In carcere è finito anche il marito della donna, Lorenzo Caramma, al momento ricoverato in ospedale. Anche per lui il legale ha chiesto la scarcerazione per motivi di salute. Il giudice non si è ancora pronunciato.
Confermato l’arresto dall Corte d’Appello
Due settimane fa, i giudici della Corte d’Appello di Caltanissetta dichiararono legittimo l’arresto dell’ex giudice Silvana Saguto, del marito, Lorenzo Caramma, e dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, amministratore giudiziario e braccio destro per anni dell’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo.
I giudici confermarono la correttezza dell’operato della Procura generale nissena, che aveva disposto il carcere per i tre in seguito alla sentenza emessa dalla Cassazione nell’ambito del processo nato dallo scandalo nella gestione dei beni confiscati. Ciò perché la revisione della pena non potrà scendere sotto i limiti che prevedono la carcerazione
Venne accolto il ricorso presentato dall’avvocato Lillo Fiorello per il professore Carmelo Provenzano dell’università Kore di Enna, che è tornato quindi libero: nel suo caso, come ha sostenuto la sua difesa ed ha riconosciuto anche la Corte, la pena potrebbe essere effettivamente rideterminata con il nuovo processo d’appello, dunque la condanna a 6 anni e 8 mesi non è definitiva.
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