’ Padresi definito eccessivamente fatto di un perché? E questo, oltre ad avere provocato l’imputato, per quanto e non gravare sull’aggressività di questi: mi era solo da rabbrividire il solo fatto che ci sono andato a parare con questa persona dal carattere ben conosciuto; mi chiedevo se parlasse perché magari non vuole arrivare a queste situazioni, invece…’. Gli imputati, come sottolinea la Corte, danno per scontata “la pericolosità di Burgio” e la loro “noncuranza” a cercare una soluzione pacifica disvelano l’insicurezza nei propri mezzi per affrontare la disputa: “L’analoga e antecedente esperienza di scontro fisico, declinata nitidamente come disfatta pregressa per mano di Burgio, accomunava entrambi gli imputati a condividere una comune posizione di svantaggio rispetto alla presunta ‘macchina da guerra’ costituita dalla vittima”.Il diritto di precedere e prevaricare, la mala punta Per la Corte, infatti, è “evidente che la condotta tenuta dai Romano – Domenico escluso – si collocava in una logica di prevaricazione, quasi spregiudicata, fondata sull’assurda ricerca di recupero dell’ego malfermo, esacerbato proprio dalla mancata soluzione pregressa della lite per lo specchietto e dalla condotta violenta posta in essere da Burgio in occasione di tale contesa”. Anche a livello psicologico, ci sarebbe stata la ferita al sentire dei Romano che li ha portati a tentare di riscattarsi a tutti i costi. Un’animosità alimentata anche da motivi di carattere storico-relazionale, determinata dalla precedente esperienza di sconfitta fisica per mano di Burgio, così come si legge nelle motivazioni della sentenza: “Tale inferiositià stigma l’immagine narcisistica di sé dei Romano, e determinava la necessità di riscatto a tutti i costi pur in assenza di evidenze oggettive che lasciassero immaginare l’insufficienza a percepire l’enormità dell’innalzarsi della protesta di Burgio nella circostanza”. Le immagini liberatorie e il momento in cui si spengono i riflettori La Corte non ha ritenuto, invece, sussistere l’equilibrio di colpa nell’aggressività reciproca, come ipotizzato dagli avvocati degli imputati. Anzi, le immagini a suo avviso avrebbero provato il contrario: “Dall’impatto medesimo dai romani in contestazione, emerge come sia il correlativo Montano, a tenere l’atteggiamento più posato e contenuto”, avendo cercato di trattenere Burgio mentre quest’ultimo si dimostrava agitato e irrequieto. La stessa rissa tra i Romano e il gruppo di Burgio, sottolineano i giudici, non trova conferma nelle immagini, risultando “che la partecipazione dell’uno e dell’altro si sia risolta più in parole che in fatti, e in alcun modo essa possa dirsi capitatane spontaneamente, non cupe sozio Alonso. La pronuncia della Corte che condanna i Romano per omicidio, non è del numero 10 e nemmeno dell’8, bensì del numero 1, riportando ancora una volta l’attenzione di tutti su di un fatto che non potrà e non dovrà mai essere dimenticato e che resterà ancora a lungo nell’immaginario collettivo di Palermo, come si legge nelle virgolettature della sentenza: “L’omicidio di Burgio… è stato crimine di violenza comune”. E la sentenza livella con un giudizio secco tutto Emi Vucciria, la sua storia più antica e più recente, ma ben più di 86 rughe disegnate sui muri: “Una macchia imperdonabile, che fa rabbrividire pensare ad un fiume di sangue al posto della ruffiana al centro dell’antico mercato”.
– Omicidio di Emanuele Burgio
– Giungla urbana
– Rispetto delle regole
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