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(as of Aug 03, 2021 23:00:45 UTC – Dettagli: )
Molti hanno raccontato 2600 anni di storia della città di Agrigento, la Città dei Templi, l’antica e gloriosa Akragas. L’hanno fatto pure numerosi viaggiatori nel Settecento e poi nell’Ottocento in particolare, riportando nei loro diari l’impressione amara che hanno provato visitando i templi greci e la “cittaduzza” sul colle, abitata per lo più da povera gente sottomessa ai potenti di turno.
Quei viaggiatori hanno annotato spesso nei loro scritti che la gloria della potente Akragas giace ormai da molti secoli tra la polvere dei maestosi templi dorici e invece il presente della città è squallido e inospitale.
Hanno avuto, difatti, quei visitatori (e forse hanno i visitatori di oggi) l’idea che la storia del popolo agrigentino da troppo tempo è segnata solo dalla decadenza.
Il figlio più illustre di Agrigento, Luigi Pirandello, ha scritto che l’accidia e il fatalismo sono insieme il marchio che distingue i suoi concittadini dalle altre genti.
“l’Akragas dei Greci, l’Agrigentum dei Romani, eran finiti nella Kerkent dei Musulmani, e il marchio degli arabi era rimasto indelebile negli animi e nei costumi della gente. Accidia taciturna, diffidenza ombrosa e gelosia… L’accidia, tanto di far bene quanto di far male, era radicata nella più profonda confidenza della sorte, nel concetto che nulla potesse avvenire, che vano sarebbe stato ogni sforzo per scuotere l’abbandono desolato, in cui giacevano non soltanto gli animi, ma pure tutte le cose”. (Luigi Pirandello, I vecchi e i ragazzi)
Studiando anch’io le vicende storiche di Agrigento, mi sono invece imbattuto in molte pagine che raccontano una storia diversa: gli agrigentini sono stati protagonisti, in 2600 anni, di rivoluzioni, ribellioni, sollevazioni, proteste che hanno sempre pagato duramente. Hanno affrontato a viso aperto il crudele Falaride; gli schiavi si sono sollevati contro i potenti; hanno chiamato Cicerone per far condannare l’avido Verre; hanno reso dura la vita ai dominatori arabi e a tanti altri popoli che hanno calpestato la loro città e i loro diritti; hanno assaltato il palazzo del Vescovo per avere il pane per i loro figli; hanno difeso le loro donne dall’arroganza e dalla violenza della soldataglia spagnola e francese; i ragazzi hanno partecipato a tutte le fasi del risorgimento italiano per liberare la Sicilia dal dominio borbonico e l’Italia da quello austriaco; più recentemente hanno lottato contro le clientele politico-mafiose, per le terre, l’acqua, ecc.
Credo che la memoria di tanta lotta e tanto sangue meritino qualcosa di più. Così ho lavorato alla preste opera che intende riscrivere alcune pagine della storia dei miei concittadini.
L’ho scritta col rigore dello storico che si è ben documentato ed pure con il cuore di un professore che spera che i ragazzi agrigentini decidano di restare in questa terra per lottare contro ogni forma di ingiustizia e assicurare alla nostra città un futuro migliore.
Quei viaggiatori hanno annotato spesso nei loro scritti che la gloria della potente Akragas giace ormai da molti secoli tra la polvere dei maestosi templi dorici e invece il presente della città è squallido e inospitale.
Hanno avuto, difatti, quei visitatori (e forse hanno i visitatori di oggi) l’idea che la storia del popolo agrigentino da troppo tempo è segnata solo dalla decadenza.
Il figlio più illustre di Agrigento, Luigi Pirandello, ha scritto che l’accidia e il fatalismo sono insieme il marchio che distingue i suoi concittadini dalle altre genti.
“l’Akragas dei Greci, l’Agrigentum dei Romani, eran finiti nella Kerkent dei Musulmani, e il marchio degli arabi era rimasto indelebile negli animi e nei costumi della gente. Accidia taciturna, diffidenza ombrosa e gelosia… L’accidia, tanto di far bene quanto di far male, era radicata nella più profonda confidenza della sorte, nel concetto che nulla potesse avvenire, che vano sarebbe stato ogni sforzo per scuotere l’abbandono desolato, in cui giacevano non soltanto gli animi, ma pure tutte le cose”. (Luigi Pirandello, I vecchi e i ragazzi)
Studiando anch’io le vicende storiche di Agrigento, mi sono invece imbattuto in molte pagine che raccontano una storia diversa: gli agrigentini sono stati protagonisti, in 2600 anni, di rivoluzioni, ribellioni, sollevazioni, proteste che hanno sempre pagato duramente. Hanno affrontato a viso aperto il crudele Falaride; gli schiavi si sono sollevati contro i potenti; hanno chiamato Cicerone per far condannare l’avido Verre; hanno reso dura la vita ai dominatori arabi e a tanti altri popoli che hanno calpestato la loro città e i loro diritti; hanno assaltato il palazzo del Vescovo per avere il pane per i loro figli; hanno difeso le loro donne dall’arroganza e dalla violenza della soldataglia spagnola e francese; i ragazzi hanno partecipato a tutte le fasi del risorgimento italiano per liberare la Sicilia dal dominio borbonico e l’Italia da quello austriaco; più recentemente hanno lottato contro le clientele politico-mafiose, per le terre, l’acqua, ecc.
Credo che la memoria di tanta lotta e tanto sangue meritino qualcosa di più. Così ho lavorato alla preste opera che intende riscrivere alcune pagine della storia dei miei concittadini.
L’ho scritta col rigore dello storico che si è ben documentato ed pure con il cuore di un professore che spera che i ragazzi agrigentini decidano di restare in questa terra per lottare contro ogni forma di ingiustizia e assicurare alla nostra città un futuro migliore.
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