Originario di Benevento, da carabiniere non esitò a mettersi al servizio dei cittadini e dello Stato per lottare contro Cosa nostra a Palermo, in anni in cui le strade della città erano lastricate di sangue. E proprio per questo, esattamente 42 anni fa, il 10 settembre del 1981, il maresciallo maggiore Vito Ievolella venne ucciso a colpi di pistola e fucile in piazza Principe di Camporeale: era a bordo della sua Fiat 128 con la moglie Iolanda, incinta della figlia Lucia Assunta, che stava facendo scuola guida. La donna rimase solo lievemente ferita e anche la bambina si salvò, ma per il militare non ci fu scampo.
Stamattina il sacrificio di Ievolella è stato ricordato con una cerimonia nel luogo in cui avvenne l’agguato, alla presenza anche della figlia, oltre che del comandante della Legione carabinieri Sicilia, Giuseppe Spina, del sindaco Roberto Lagalla, e del viceprefetto Anna Aurora Colosimo, che hanno deposto una corona d’alloro. Presenti anche rappresentanze dell’Associazione nazionale carabinieri e di altre associazioni combattentistiche e dell’Arma.
Durante la breve cerimonia è stata letta anche la motivazione con la quale il presidente della Repubblica ha concesso al maresciallo Ievolella la Medaglia d’Oro al valor civile “alla memoria”. Alle 10, nella chiesa di Santa Maria Maddalena, all’interno del Comando Legione carabinieri Sicilia, il cappellano militare don Filippo Ferlita, ha celebrato una messa in suffragio del caduto.
Il maresciallo Ievolella nacque a Benevento il 4 dicembre 1929 e si arruolò nell’Arma come carabiniere nel 1948. Nel biennio 1958-1959 frequentò il corso per allievi sottufficiali della scuola di Firenze, al cui termine venne assegnato alla Legione di Palermo, dove aveva prestato servizio nelle Stazioni “Centro”, “Duomo” e “Falde”, la cui caserma è oggi intitolata proprio alla sua memoria. Nel 1965, venne trasferito al Nucleo operativo del Gruppo di Palermo dove svolse complesse indagini, rese ancora più ardue dalle condizioni ambientali caratterizzate da una fittissima omertà.
Il 10 settembre 1981 fu infine massacrato da quattro killer, armati di pistole calibro 7,65 e fucili caricati a pallettoni, che, appena scesi da una Fiat Ritmo rubata, fecero fuoco in direzione del maresciallo. Il mezzo usato dal commando fu dato alle fiamme e abbandonato in via Caruso, dove fu ritrovato dai carabinieri. Fu chiaro immediatamente che l’assassinio del maresciallo Ievolella era da inquadrare in un programma mafioso teso all’eliminazione di quanti si opponevano all’espansione degli interessi criminali. E Ievolella era molto noto negli ambienti investigativi per le sue capacità professionali, per l’impegno e per la determinazione nel fare luce tanto sul delitto comune quanto su quello mafioso. Proprio per il suo indiscusso valore aveva ricevuto sette encomi solenni e quattordici lettere di apprezzamento del comandante generale dell’Arma. Un valore riconosciuto anche dalla stampa dell’epoca, che lo aveva ribattezzato “segugio temuto dai boss” e “specialista in casi difficili”.
Ecco la motivazione con cui Ievolella ha ricevuto la Medaglia d’Oro al valor civile: “Addetto al Nucleo operativo di Gruppo, pur consapevole dei rischi a cui si esponeva, si impegnava con infaticabile slancio ed assoluta dedizione al dovere in prolungate e difficili indagini – rese ancora più ardue dall’ambiente caratterizzato da tradizionale omertà – che portavano all’arresto di numerosi e pericolosi aderenti ad organizzazioni mafiose. Proditoriamente fatto segno a colpi d’arma da fuoco in un vile agguato tesogli da quattro malfattori, immolava la vita ai più nobili ideali di giustizia e di grande eroismo”.
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Il “segugio temuto dai boss” ucciso dalla mafia 42 anni fa, ricordato il maresciallo Vito Ievolella
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